Balla e non ci pensare

“Adesso, ancora una volta la cintura è stretta e l’orrore mi afferra nel ricordare la nostra gioventù sciupata. Ma a volte uno spettrale rullio ripercorre i tamburi, un sussurro asmatico agita i tromboni e mi risospingono nel 1925 quando bevevamo alcool metilico e, ogni giorno, miglioravamo sempre.”

F.S. Fitzgerald

Un Congresso degli Usa non si è mai trovato in una situazione così favorevole come quella attuale. All’interno ci sono tranquillità, pace sociale e soddisfazione e le cifre primato degli anni della prosperità. All’estero c’è pace e buona volontà che deriva dalla comprensione reciproca.
Questi i toni ottimistici con cui il presidente uscente Coolidge salutava gli Stati dell’Unione nel dicembre 1928, confermato dalla bassa disoccupazione e dagli alti profitti di borsa che facevano sembrare il crollo di Wall Street un evento inverosimile. Erano i ruggenti anni Venti, l’American way of Life dei larghi consumi e della ricerca di svaghi e divertimenti dell’epoca del Proibizionismo conviveva con il radicato razzismo nei confronti delle minoranze e della popolazione afroamericana. Il benessere crescente dopo la fine della Prima guerra mondiale, e la speculazione finanziaria condussero gli Stati Uniti, tuttavia,  a una crisi di sovrapproduzione, con un aumento del valore delle azioni industriali non corrispondente però ad un reale incremento della produzione, che culminò nel crollo della borsa con la vendita al ribasso di ben 12.894.650 azioni nel Black Thursday, 24 Ottobre 1929. Migliaia di brokers vennero presi dal panico, si registrarono numerosi suicidi tra gli speculatori e la disoccupazione aumentò dai 2 milioni del 1929 ai 12 milioni del 1932.

I metri di perle, le piume di struzzo e i vestiti di seta trapuntati di paillettes, che durante gli anni Venti erano stati i più affettuosi spettatori dei molti cantanti afro americani arrivati a New York dalle città meridionali, non luccicavano più come un tempo, si faticava ad arrivare a fine mese e la miseria aumentava tra gli strati sociali più deboli.

Con il disastro finanziario, gli uomini del jazz che dal 1925 al 1929 avevano visto brillare stelle come Louis Armstrong, Duke Ellington o Fletcher Henderson, ricevettero dalla crisi un colpo durissimo, conseguente anche al fallimento di molte case discografiche. Le sponde del fiume Hudson nell’epoca della Grande Depressione furono invase da molti musicisti fuggiti da Chicago, dove, all’inizio del 1928, la polizia stava chiudendo un grande numero di locali e speakeasies in seguito alla crisi economica provocata dalla corrotta amministrazione del suo sindaco Big Bill Thompson.  Tuttavia la situazione non era molto confortante: molti musicisti si trasformarono in pizzaioli o camionisti e cercarono di dividersi i proventi derivati dalle serate al suono di una delle canzoni che rispecchiava al meglio il clima di quegli anni, “Brother, can you spare a dime?” (Fratello, ti avanza un nichelino?). Fu così che vennero istituite le feste per i musicisti neri considerati “fuori dal giro giusto”: i Rent Parties, dove risuonavano note grondanti di emozioni struggenti, rese melodia grazie all’incessante alternarsi di basso e accordi, il ritmo blues, appunto.

Duke Ellington rimase al Cotton Club fino all’inizio del 1931 per poi spostarsi in Europa come aveva fatto un anno prima Louis Armstrong. L’orchestra di Fletcher Handerson perse il posto al Roseland per sciogliersi poi nel 1934. Tuttavia i grandi locali di Harlem rimasero aperti: il Cotton Club ospitò ancora ottime formazioni a cominciare da quella di Cab Calloway. Il Savoy, inaugurato nel 1926, in un basso caseggiato della Lenox Avenue aveva per gli abitanti di Harlem una insostituibile funzione consolatoria. La sua pista di 70 metri per 15 permetteva, con mezzo dollaro, di assistere agli spettacoli e scatenarsi in pista nei passi acrobatici del “Lindy Hop” secondo i gusti del pubblico in tempo di crisi. Benny Goodman, Glenn Miller, Joe Venuti furono tra i protagonisti impegnati a fare del loro meglio per tenere su il morale della gente alla ricerca di una musica “scacciapensieri”, festosa, fatta apposta per ballerini con buoni muscoli e tanto fiato! Lo Swing edulcorato dai caratteri più tipicamente afro americani divenne la forma di spettacolo preferita dal mercato rispetto alle note gravi, scure e alle melodie drammatiche del blues, i cui testi, spesso allusivi e talvolta osceni, erano stati nel frattempo presi di mira dalla censura operante dal 1928.