COTTON CLUB (USA 1984)
regia di Francis Ford Coppola
con Richard Gere, Diane Lane, Nicolas Cage, Bob Hoskins

“Alla fine degli anni Venti, il Cotton Club è il più famoso locale di New York.”
Con questa frase cominciano quasi tutte le recensioni di questa pellicola, non perché sia un film pseudo documentaristico sulla famosa sala da ballo, né tantomeno perché essa rappresenti una sorta di protagonista fra i protagonisti; ma solo perché il locale viene posto dal regista, Francis Ford Coppola, come baricentro di tutta la narrazione e le tematiche da lui raccontate. Il Cotton Club è punto di partenza e convergenza di un film costruito sulle contrapposizioni.
Contrapposizione pressoché speculare nei personaggi, due fratelli bianchi (Richard Gere e Nicolas Cage) e due fratelli neri (Gregory e Maurice Hines), una donna bianca (Diane Lane) e una nera (Lonette Mckee). Due donne che si innamorano dei protagonisti, ma che sono “possedute” da altri e potenti uomini, i due Boss (James Remar e Bob Hoskins) uno spietato ma leale e l’altro affabile ma codardo, le cui vicende gangsteristiche si intrecciano e confluiscono, appunto, nel Cotton Club.
Altra importante contrapposizione la troviamo nell’onnipresente tematica razziale: neri, che cantano e ballano e hanno successo, che però non possono entrare nel locale; gangster bianchi che tengono in riga i neri, che poi verranno da essi soppiantati, anche se Coppola non vuole fare una lezione di tolleranza, ma semplicemente mettere in evidenza una delle tante contraddizioni dell’epoca.
Contrapposto è anche lo stile registico con cui è girato il film: uno sfarzoso e saturo colore tipico della moderna Hollywood, tuttavia con luci tagliate sugli sguardi e giochi d’ombre tipiche del Noir in bianco e nero. Queste immagini, infatti, dipingono alla perfezione il quadro che vuole tracciare Coppola. Un’ambientazione onirica, mitologica e surreale, popolata da personaggi grezzi, concreti e soprattutto “storici”, temerariamente messi in scena in sfida a ogni verosimiglianza fisiognomica: vediamo Duke Ellington, Gloria Swanson, Cab Calloway, Lucky Luciano, Charles Chaplin, Fanny Brice, James Cagney, e sentiamo citati i nomi dei contemporanei Ruth Etting, Julius Lepke (da notare in mezzo a questi attori che si fingono musicisti, un musicista, Tom Waits, trasformato molte volte da Coppola in attore).
La parte del leone, in tutto questo, naturalmente, la fa la colonna sonora curata da John Barry che comprende bellissimi brani di Duke Ellington, quali “The Mouche”, “Cotton Club Stomp” e “Mood Indigo”, che rendono il film quasi un musical, altro escamotage meta-cinematografico di Coppola, che arriva fino a far suonare veramente, e forse con non troppo successo, la cornetta a Richard Gere.
Da sottolineare tra le curiosità del film una delle primissime apparizioni cinematografiche del nipote di Coppola, conosciuto al secolo come Nicolas Cage e di Laurence Fishburne, accreditato nei titoli come “Larry”, entrambi reduci da un esordio con lo stesso regista; nella pellicola fa inoltre la comparsa anche la figlia di Coppola, Sofia, oggi acclamata regista, nell’improbabile parte di un bimbo di strada.
Una citazione, inoltre, è dovuta all’italiana Milena Canonero, realizzatrice dei costumi che rispecchiano garbatamente la moda dell’epoca.
In conclusione il Cotton Club, con le sue ossimoriche contrapposizioni, fa forse assaggiare il sapore di un’epoca: traumatica e mitica, profonda e superficiale, classica e moderna; scandita dal ritmo del Jazz e delle pallottole.