Cappello a cilindro è un film musicale del 1935 diretto da Mark Sendrich.
Un film che si lascia vedere, si fa ascoltare e naturalmente fa venir voglia di ballare.

Protagonisti di questa pellicola sono gli intramontabili Fred Astaire e Ginger Rogers ed in molti sono concordi nel definirla la loro miglior interpretazione, sicuramente quella di maggior successo e che ha meno subito le ingiurie del tempo; la coppia qui si trova alle prese con la quarta delle loro dieci collaborazioni e per la prima volta in un lungometraggio scritto appositamente per loro.

Le narrazione comincia con Jerry Travers (Fred Astaire) un famoso ballerino che incontra in un albergo la altrettanto famosa modella Dale Tremont (Ginger Rogers) di cui si innamora.
Jerry cerca di raggiungerla a Venezia dove scopre che la moglie del suo impresario vuole presentargli una ragazza che fatalità è proprio Dale. Dopo un insistente corteggiamento Dale si innamora a sua volta dell’uomo, ma per errore ella si convince che egli sia il marito di una sua cara amica, che in realtà è moglie dell’impresario di Jerry, e che quindi lui l’abbia ingannata.

Il lieto fine arriverà, ma solo dopo una lunga serie di equivoci, scambi di persona e situazioni divertenti, con un finale che ha del rocambolesco.

Oltre che su questa frizzante sceneggiatura, il film può contare sul suo vero punto di forza, le sequenze di danza, le cui pirotecniche coreografie di Hermes Pan, coreografo anche di “My fair Lady” e “Cleopatra”, si inseriscono in maniera omogenea nella narrazione e fanno da contrappunto alle divertenti peripezie dei protagonisti.
Sicuramente degne di nota sono: l’assolo di tip-tap di Jerry nella sua stanza d’albergo, lo spettacolo di Jerry a Londra il quale dopo mirabolanti numeri col bastone utilizza lo stesso come se fosse un fucile per abbattere una nutrita schiera di ballerini tutti col cappello a cilindro e la famosa sequenza di ballo in cui la la coppia Astaire-Rogers si esibisce in uno dei primi esempi cinematografici di Quickstep.

Naturalmente queste scene non avrebbero la loro potenza se non fossero accompagnate da una adeguata colonna sonora affidata a Irving Berlin, autore tra le tante del brano Blue Skies presente ne “Il cantante di Jazz” primo film sonoro della storia, che compone tutto il tema musicale del film compresa la famosissima Cheek to cheek cantata da Jerri e Dale nella scena del ballo a Venezia; ma anche “Top Hat, White Tie and Tailscantata da Jerry nello spettacolo Londinese e “No Strings (I’m Fancy Free)” sempre cantata da Jerry nella stanza d’albergo dell’impresario.

Menzione d’onore va fatta anche allo scenografo Van Nest Polglase che, per la ricostruzione surreale di Venezia, riceve la sua seconda candidatura al Premio Oscar, l’artista ne riceverà altre quattro fra le quali annoverare quelle per“Quarto potere” e “Gilda”.

In totale il film ne riceve quattro di candidature all’ambito premio dell’Academy Award, una per la già citata scenografia, poi, naturalmente, per la migliore canzone originale, ma anche per le migliori coreografie (all’epoca esisteva anche questo premio), ed infine come miglior film.

In Italia il film ebbe un successo tardivo, il fatto è dovuto al personaggio del tenore italiano Alberto Beddini (Erik Rhodes) forse il vero antagonista del film, la cui interpretazione fu ritenuta lesiva per gli italiani da Benito Mussolini che censurò in toto la pellicola, tant’è che ancora oggi, in molte versioni italiane, il personaggio si chiama Astolfo Bedinsky e non Alberto Beddini come nel resto del mondo.

In conclusione il film è un manifesto alla danza come risoluzione di conflitti e la miglior recensione che se ne possa fare è consigliarlo a chiunque non abbia mai avuto il piacere di vedere un film di quegli anni trenta che riescono ad intrattenerci e meravigliarci ancora oggi.