Il Manifesto è “collocato nell’ambito delle cosi dette arti figurative e collegato alla pittura: è opera di creatività destinata ad essere letta e compresa da un pubblico, si vale di un sistema di segni, utilizza il colore, nasce da esperienze che sono contemporaneamente individuali e collettive. Ha con la realtà un rapporto più stretto, che non la pittura: infatti rispecchia le aspirazioni, i sogni, le speranze, le illusioni, le convenzioni di una comunità civile in un certo momento e in un certo luogo della sua storia.” La storia del manifesto affonda le sue radici nel 19° secolo, come forma di propaganda pubblicitaria, trasformandosi durante i conflitti mondiali in strumento di persuasione politica. Di contro, dagli anni ’20 autori come Cassandre utilizzano sapientemente i colori trasformando il manifesto in forme d’arte comunicative. Questa potenza comunicativa diventa centrale con i movimenti del ’68 alternando al manifesto i “Tazebao” di protesta. A farne un forte uso, tra gli altri, i rappresentanti della Black Art, che fondono nei loro manifesti l’arte, la comunicazione, e il sogno, seguendo l’insegnamento di Malcolm X: “By any means necessary”.  Un dichiarazione per le generazioni a venire di esistenza e rispetto come esseri umani e per gli esseri umani, di continuare a lottare, con forza e in ogni forma, sia essa la politica, un manifesto, un film, un’opera d’arte o un ballo. Un manifesto di Malcolm X in casa non è un trovata pubblicitaria o un vezzo artistico, ma un messaggio al Mondo e per il Mondo al quale urlare: “We declare our right on this earth to be a man, to be a human being, to be respected as a human being, to be given the rights of a human being in this society, on this earth, in this day, which we intend to bring into existence by any means necessary.”